31 Gen NULLITÀ DELLA SENTENZA EMESSA PRIMA DELLO SPIRARE DEI TERMINI EX ART. 190 C.P.C.
La sentenza emessa prima dello spirare dei termini per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica ex art. 190 c.p.c., o in caso di mancata concessione di questi ultimi, è di per sé nulla, senza alcun onere di indicare in concreto quali argomentazioni sarebbe stato necessario addurre in prospettiva di una diversa soluzione del merito della controversia.
Lo hanno stabilito le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, chiamate a dirimere un contrasto tra giudicati, con sentenza n. 36595 depositata in data 25/11/2021.
Sulla materia si erano formati due distinti orientamenti:
- Secondo un primo orientamento, l’emissione della sentenza in assenza della concessione dei termini ex art. 190 c.p.c. o antecedentemente alla loro scadenza determina tout court la nullità della sentenza medesima, poiché impedisce la piena esplicazione del diritto di difesa delle parti;
- Secondo un diverso orientamento più “rigorista”, facente leva sul principio di ragionevole durata del processo, la nullità della sentenza per violazione dell’art. 190 c.p.c. richiede un presupposto ulteriore, consistente nell’allegazione e prova di uno specifico pregiudizio conseguente da tale violazione, il cui fondamento sarebbe da individuare in una concreta lesione delle possibilità di ottenere nel merito una decisione diversa da quella adottata.
La Corte, con complessa e articolata motivazione, ha abbracciato il primo dei suddetti orientamenti, smontando con dovizia di argomentazioni le principali tesi sottostanti all’orientamento che abbiamo definito “rigorista”.
In estrema sintesi, la Corte ha evidenziato che la deduzione della nullità per violazione dell’art. 190 c.p.c., non richiede l’allegazione di un pregiudizio ulteriore, poiché tale pregiudizio discende direttamente dalla violazione del diritto alla difesa ed al contraddittorio, oggetto di tutela costituzionale agli artt. 24 e 111 Cost. Tale diritto non può essere oggetto di affievolimento in ragione del principio di economia processuale, poiché mai è dato al giudice, in nome del citato principio, eludere distinte norme processuali improntate alla realizzazione degli altri valori in cui pure si sostanzia il processo equo: e tali sono per l’appunto il diritto di difesa, il diritto al contraddittorio, e, in definitiva il diritto a un giudizio nel quale le parti siano poste in condizione di interloquire con compiutezza nelle varie fasi in cui esso si articola.
In tale ottica, le norme che presiedono all’emissione della sentenza (artt.190, 175, 281-quinques e 352 c.p.c.), sottintendendo la garanzia del diritto di difesa e del contraddittorio, attengono ai principi essenziali regolatori del giusto processo, sicché la relativa violazione determina la nullità della sentenza finanche in assenza di una testuale previsione.
A conclusione del tortuoso iter argomentativo, il Supremo Collegio ha sancito il seguente principio di diritto:
“La parte che proponga l’impugnazione della sentenza d’appello deducendo la nullità della medesima per non aver avuto la possibilità di esporre le proprie difese conclusive ovvero per replicare alla comparsa conclusionale avversaria non ha alcun onere di indicare in concreto quali argomentazioni sarebbe stato necessario addurre in prospettiva di una diversa soluzione del merito della controversia; la violazione determinata dall’avere il giudice deciso la controversia senza assegnare alle parti i termini per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica, ovvero senza attendere la loro scadenza, comporta di per sé la nullità della sentenza per impedimento frapposto alla possibilità per i difensori delle parti di svolgere con completezza il diritto di difesa, in quanto la violazione del principio del contraddittorio, al quale il diritto di difesa si associa, non è riferibile solo all’atto introduttivo del giudizio, ma implica che il contraddittorio e la difesa si realizzino in piena effettività durante tutto lo svolgimento del processo”.
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